MRUV Project Aps
“HOMINES DUM DOCENT DISCUNT”
C.F. 9110175932
PEC: mruvprojectaps@pec.it
Per Info: info@mruv.eu
Il Mar Mediterraneo, pur ricoprendo appena l’1% della superficie degli Oceani del mondo, è capace di fornire il 20% del prodotto marino mondiale lordo, esso infatti, gode di una ricca biodiversità, ospitando quasi l’8% della biodiversità marina globale, peculiarità per cui viene considerato uno dei più importanti ecosistemi del pianeta.
Negli ultimi decenni, a causa dell’intensificazione degli effetti del cambiamento climatico – tra cui il surriscaldamento globale – si è assistito ad un aumento delle temperature globali, a cui non fa eccezione quella del Mar Mediterraneo, la quale è aumentata il 20% più velocemente rispetto alla media globale, portando conseguentemente a una progressiva e repentina perdita di biodiversità.
Il depauperamento della sua ricchezza è aggravato inoltre dall’inquinamento (si pensi all’utilizzo di combustibili fossili nel trasporto marittimo così come alla quantità di rifiuti, derivanti del settore ittico, come le cosiddette “reti fantasma”) oltre che da altre numerose attività antropiche; tra cui la pesca intensiva che ha fortemente contribuito alla distruzione dei fondali marini e all’alterazione delle canoniche capacità di rigenerazione degli stock ittici.
La creazione e l’utilizzo di una nave da ricerca condivisa permetterà la raccolta sistematica di un’ampia gamma di dati, contribuendo allo sviluppo di sistemi comunitari per il monitoraggio del mare, la cui attuale inadeguatezza è stata sottolineata più volte dall’Unione Europea, sia in occasione del progetto EuroSea (lanciato nel 2019), sia in occasione dell’approvazione di Horizon EU nel 2020.
La creazione di un database comunitario composto da dati affidabili (sia a carrattere quantitativo che qualitativo) è essenziale per la comprensione di sistemi complessi, come l’ecosistema marino e per l’elaborazione di piani di azione efficaci che ne possano garantire una governance sostenibile.
La lingua non è sufficiente a dire né la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare.
Il Mar Mediterraneo, pur ricoprendo appena l’1% della superficie degli Oceani del mondo, è capace di fornire il 20% del prodotto marino mondiale lordo, esso infatti, gode di una ricca biodiversità, ospitando quasi l’8% della biodiversità marina globale, peculiarità per cui viene considerato uno dei più importanti ecosistemi del pianeta.
Negli ultimi decenni, a causa dell’intensificazione degli effetti del cambiamento climatico – tra cui il surriscaldamento globale – si è assistito ad un aumento delle temperature globali, a cui non fa eccezione quella del Mar Mediterraneo, la quale è aumentata il 20% più velocemente rispetto alla media globale, portando conseguentemente a una progressiva e repentina perdita di biodiversità.
Il depauperamento della sua ricchezza è aggravato inoltre dall’inquinamento (si pensi all’utilizzo di combustibili fossili nel trasporto marittimo così come alla quantità di rifiuti, derivanti del settore ittico, come le cosiddette “reti fantasma”) oltre che da altre numerose attività antropiche; tra cui la pesca intensiva che ha fortemente contribuito alla distruzione dei fondali marini e all’alterazione delle canoniche capacità di rigenerazione degli stock ittici.
La creazione e l’utilizzo di una nave da ricerca condivisa permetterà la raccolta sistematica di un’ampia gamma di dati, contribuendo allo sviluppo di sistemi comunitari per il monitoraggio del mare, la cui attuale inadeguatezza è stata sottolineata più volte dall’Unione Europea, sia in occasione del progetto EuroSea (lanciato nel 2019), sia in occasione dell’approvazione di Horizon EU nel 2020.
La creazione di un database comunitario composto da dati affidabili (sia a carrattere quantitativo che qualitativo) è essenziale per la comprensione di sistemi complessi, come l’ecosistema marino e per l’elaborazione di piani di azione efficaci che ne possano garantire una governance sostenibile.
La lingua non è sufficiente a dire né la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare.
Dobbiamo monitorare e proteggere le risorse del Mar Mediterraneo se vogliamo avere la speranza di non oltrepassare quel limite ultimo, oltre il quale, qualunque intervento sarà vano e la possibilità di ripristinare l’equilibrio illusorio.
L’aumento delle temperature causato dal cambiamento climatico sta portando all’entrata in Mar Mediterraneo di molte specie marine provenienti dal Mar Rosso, le cosiddette “specie aliene”. Questo spostamento è anche facilitato dall’abbattimento del “muro salino” (differenza di salinità) presente a livello del Canale di Suez, onseguenza dell’ingente traffico navale che interessa la zona. L’invasione delle specie aliene può incidere negativamente sulle comunità marine autoctone del Mar Mediterraneo e portare ad una perdita di biodiversità. Un esempio è dato dall’invasione di alghe tropicali (per esempio, le alghe del genere Caulerpa) che, con i loro tassi di crescita elevati, sta lentamente soppiantando l’endemica pianta acquatica Posidonia oceanica, specie chiave per il suo ruolo nella stabilizzazione del substrato marino e per la biodiversità ad essa associata. Essa è anche centrale nella dieta della tartaruga marina più comune del Mediterraneo, Caretta caretta.
Gli oceani hanno un ruolo fondamentale nella regolazione del clima terrestre. Essi, ogni anno, assorbono circa il 25% dell’anidride carbonica di origine antropica emessa a livello globale, limitando l’effetto serra e il conseguente aumento delle temperature terrestri. A causa degli elevati livelli di emissioni, però, troppo carbonio sta venendo assorbito, causando una diminuzione del pH e portando al fenomeno conosciuto come “acidificazione oceanica”. Esso colpisce le strutture carbonatiche di molti organismi marini, come conchiglie e scheletri, rendendole più fragili e prevenendone anche la calcificazione. Molte tra le specie colpite, come ad esempio i coralli (presenti anche nel bacino del Mediterraneo) forniscono riparo e cibo a molti altri organismi, tra cui molte specie di interesse commerciale. Inoltre, l’acidificazione può anche direttamente intaccare i processi biologici e fisiologici delle specie, come la riproduzione, la respirazione e il comportamento
L’eutrofizzazione indica l’aumento della concentrazione di nutrienti (in particolare di nitrati e fosfati) negli ambienti acquatici e, nel contesto del Mediterraneo, esso interessa soprattutto le coste, in corrispondenza di città ed estuari. Il riversamento di rifiuti organici e fertilizzanti agricoli in mare è tra le cause di questo fenomeno, che può comportare una proliferazione eccessiva di alghe microscopiche e una conseguente diminuzione della concentrazione di ossigeno nelle acque. Nelle aree più colpite, questi “bloom” algali posso creare le così dette “zone morte”: zone a così bassa concentrazioni di ossigeno da precludere la sopravvivenza a diverse specie marine. Il Mar Adriatico è una delle aree più colpite, a causa della sua bassa profondità e della presenza di molteplici estuari, come ad esempio quello del Po’, che raccoglie agenti inquinanti lungo tutta la Pianura Padana.
Il cambiamento climatico sta portando ad un aumento nella frequenza degli eventi atmosferici estremi. Particolarmente problematiche negli ecosistemi marini sono le anomalie termiche, che causano eventi di mortalità di massa tra le specie marine, con conseguenze sia immediate che nel lungo periodo. Eventi di questo genere possono infatti portare alla trasformazione degli habitat, che vanno incontro a una perdita di biodiversità e complessità. Altri eventi estremi, come le inondazioni, portano al danneggiamento ed alla erosione delle coste, intaccando in modo diretto le città costiere. Nell’Adriatico, Venezia è soggetta a sempre più inondazioni ed eventi di “marea straordinaria”, le cui cause sono esacerbate dagli effetti dei cambiamenti climatici, tra cui l’innalzamento del livello del mare
Dobbiamo monitorare e proteggere le risorse del Mar Mediterraneo se vogliamo avere la speranza di non oltrepassare quel limite ultimo, oltre il quale, qualunque intervento sarà vano e la possibilità di ripristinare l’equilibrio illusorio.
L’aumento delle temperature causato dal cambiamento climatico sta portando all’entrata in Mar Mediterraneo di molte specie marine provenienti dal Mar Rosso, le cosiddette “specie aliene”. Questo spostamento è anche facilitato dall’abbattimento del “muro salino” (differenza di salinità) presente a livello del Canale di Suez, onseguenza dell’ingente traffico navale che interessa la zona. L’invasione delle specie aliene può incidere negativamente sulle comunità marine autoctone del Mar Mediterraneo e portare ad una perdita di biodiversità. Un esempio è dato dall’invasione di alghe tropicali (per esempio, le alghe del genere Caulerpa) che, con i loro tassi di crescita elevati, sta lentamente soppiantando l’endemica pianta acquatica Posidonia oceanica, specie chiave per il suo ruolo nella stabilizzazione del substrato marino e per la biodiversità ad essa associata. Essa è anche centrale nella dieta della tartaruga marina più comune del Mediterraneo, Caretta caretta.
Gli oceani hanno un ruolo fondamentale nella regolazione del clima terrestre. Essi, ogni anno, assorbono circa il 25% dell’anidride carbonica di origine antropica emessa a livello globale, limitando l’effetto serra e il conseguente aumento delle temperature terrestri. A causa degli elevati livelli di emissioni, però, troppo carbonio sta venendo assorbito, causando una diminuzione del pH e portando al fenomeno conosciuto come “acidificazione oceanica”. Esso colpisce le strutture carbonatiche di molti organismi marini, come conchiglie e scheletri, rendendole più fragili e prevenendone anche la calcificazione. Molte tra le specie colpite, come ad esempio i coralli (presenti anche nel bacino del Mediterraneo) forniscono riparo e cibo a molti altri organismi, tra cui molte specie di interesse commerciale. Inoltre, l’acidificazione può anche direttamente intaccare i processi biologici e fisiologici delle specie, come la riproduzione, la respirazione e il comportamento
L’eutrofizzazione indica l’aumento della concentrazione di nutrienti (in particolare di nitrati e fosfati) negli ambienti acquatici e, nel contesto del Mediterraneo, esso interessa soprattutto le coste, in corrispondenza di città ed estuari. Il riversamento di rifiuti organici e fertilizzanti agricoli in mare è tra le cause di questo fenomeno, che può comportare una proliferazione eccessiva di alghe microscopiche e una conseguente diminuzione della concentrazione di ossigeno nelle acque. Nelle aree più colpite, questi “bloom” algali posso creare le così dette “zone morte”: zone a così bassa concentrazioni di ossigeno da precludere la sopravvivenza a diverse specie marine. Il Mar Adriatico è una delle aree più colpite, a causa della sua bassa profondità e della presenza di molteplici estuari, come ad esempio quello del Po’, che raccoglie agenti inquinanti lungo tutta la Pianura Padana.
Il cambiamento climatico sta portando ad un aumento nella frequenza degli eventi atmosferici estremi. Particolarmente problematiche negli ecosistemi marini sono le anomalie termiche, che causano eventi di mortalità di massa tra le specie marine, con conseguenze sia immediate che nel lungo periodo. Eventi di questo genere possono infatti portare alla trasformazione degli habitat, che vanno incontro a una perdita di biodiversità e complessità. Altri eventi estremi, come le inondazioni, portano al danneggiamento ed alla erosione delle coste, intaccando in modo diretto le città costiere. Nell’Adriatico, Venezia è soggetta a sempre più inondazioni ed eventi di “marea straordinaria”, le cui cause sono esacerbate dagli effetti dei cambiamenti climatici, tra cui l’innalzamento del livello del mare
Di spopolamento a Venezia se ne parla da anni. Secondo le ultime stime del Comune di Venezia i posti letto a disposizione dei turisti sono pari al numero di abitanti nel centro storico.
La comunità veneziana si è inesorabilmente spostata verso la terraferma a causa del rincaro affitti; fattore che ha contribuito alla chiusura di diverse attività commerciali. Inoltre, la recente esplosione della pandemia mondiale di Covid-19 ha messo nuovamente a dura prova la città, ponendo l’attenzione ancora una volta su quanto il suo modello economico sia attualmente in-sostenibile.
Per “ritrovare” Venezia è necessario agire ora, adottando uno sguardo di lungo termine che le permetta di tornare a vivere dinamicamente e non solo come fosse un “museo a cielo aperto”. Una città la cui storia, ricchezza e unicità sono legate indissolubilmente al mare. Un mare che ora rappresenta soprattutto una minaccia per quella città che più di tutte con le acque aveva saputo essere una cosa sola.
Tuttavia, è forse proprio in un riscoperto rapporto tra mare e ricerca che potrebbe celarsi una sua nuova, inaspettata, rinascita.
La costruzione di questa nave e del suo headquarters permetterebbe a Venezia di emergere come centro di riferimento europeo per la ricerca marittima e subacquea, consentendole di attirare ricercatori e figure professionali ad elevata specializzazione, che darebbero nuova vita alla città.
Venezia può morire se perde la memoria, se non sapremo intenderne lo spirito e ricostruirne il destino. La memoria storica delle nostre città non richiede la stasi, esige il movimento. Non predica l'imbalsamazione, esalta la vita. Un movimento che rispetti il codice genetico delle città.
Di spopolamento a Venezia se ne parla da anni. Secondo le ultime stime del Comune di Venezia i posti letto a disposizione dei turisti sono pari al numero di abitanti nel centro storico.
La comunità veneziana si è inesorabilmente spostata verso la terraferma a causa del rincaro affitti; fattore che ha contribuito alla chiusura di diverse attività commerciali. Inoltre, la recente esplosione della pandemia mondiale di Covid-19 ha messo nuovamente a dura prova la città, ponendo l’attenzione ancora una volta su quanto il suo modello economico sia attualmente in-sostenibile.
Per “ritrovare” Venezia è necessario agire ora, adottando uno sguardo di lungo termine che le permetta di tornare a vivere dinamicamente e non solo come fosse un “museo a cielo aperto”. Una città la cui storia, ricchezza e unicità sono legate indissolubilmente al mare. Un mare che ora rappresenta soprattutto una minaccia per quella città che più di tutte con le acque aveva saputo essere una cosa sola.
Tuttavia, è forse proprio in un riscoperto rapporto tra mare e ricerca che potrebbe celarsi una sua nuova, inaspettata, rinascita.
La costruzione di questa nave e del suo headquarters permetterebbe a Venezia di emergere come centro di riferimento europeo per la ricerca marittima e subacquea, consentendole di attirare ricercatori e figure professionali ad elevata specializzazione, che darebbero nuova vita alla città.
Venezia può morire se perde la memoria, se non sapremo intenderne lo spirito e ricostruirne il destino. La memoria storica delle nostre città non richiede la stasi, esige il movimento. Non predica l'imbalsamazione, esalta la vita. Un movimento che rispetti il codice genetico delle città.
La fragile bellezza di Venezia rischia di scomparire sotto il livello del mare, che, irriducibile, aumenta di pari passo con l’accelerazione del cambiamento climatico innegabilmente in atto. L’avviamento di questo ambizioso proggetto cercherà di ergere Venezia a simbolo delle tante città costiere che ad oggi sono minacciate dal mare. Città che oggi possono scegliere di non affondare sotto il peso di un destino inesorabile, ma che sapranno servirsi dell’elemento che oggi più le minaccia per risorgere come attori di un cambiamento globale.
Uno tra gli effetti globali più preoccupanti del cambiamento climatico coinvolge l’eustatismo (ossia il cambiamento del livello globale dei mari). Infatti, l’aumento delle temperature terrestri sta causando l’espansione volumetrica delle acque e lo scioglimento dei ghiacci sulla terraferma, ad esempio in territori come l’Antartide e la Groenlandia. L’innalzamento dei mari appresenta un grave pericolo anche per le coste del Mar Mediterraneo e le sue città. Negli ultimi 150 anni, le acque della laguna di Venezia sono cresciute di circa 2,5 mm all’anno, risultato combinato del movimento verticale del suolo e dell’innalzamento del livello del mare.
La subsidenza di Venezia (cioè il naturale sprofondamento degli strati geologici del pavimento lagunare) è stata identificata come un serio problema già decenni fa, quando l’emungimento dalle falde sotterranee, combinato con la compattazione del terreno causato dal peso degli edifici, stava esacerbando il già lento ed inesorabile sprofondamento dell’interland lagunare. Dopo aver vietato l’estrazione delle acque sotterranee, il fenomeno è fortemente rallentato, ma non si è fermato. Tra le attuali cause, si annoverano anche il movimento tettonico delle placche e l’aumento dei livelli del mare causato dal innalzamento delle temperature globali.
L’equilibrio dell’ecosistema lagunare è legato a stretto filo con lo stato delle tre bocche di porto di Venezia: Lido, Malamocco e Chioggia. La loro evoluzione e i risultanti flussi delle acque fuori e dentro la laguna sono il risultato di processi naturali ma anche di attività antropiche, a partire dagli interventi ingegneristici avvenuti per la deviazione dei principali immissari nel XV secolo. La recente costruzione del MOSE, per la protezione della città dalle maree straordinarie, ha portato a ingenti modifiche alle bocche di porto. Gli effetti di questi interventi sono molto difficili da predire, ma avranno un impatto sui movimenti delle masse d’acqua e dei sedimenti. Ad esempio, la presenza delle barriere del MOSE va ad ostacolare l’ingresso di sedimenti in laguna, vitali per la stabilizzazione del suolo di Venezia limitandone la subsidenza, e per la vita marina fornendo nutrimento e ancoraggio alla vegetazione lagunare. Dopo la messa in funzione del MOSE, il tasso annuo di sedimentazione nelle tre bocche di porto è diminuito in media del 25%.
Tra i problemi della laguna di Venezia si annovera quello dell’inquinamento. Una delle maggiori fonti di inquinamento delle acque lagunari è rappresentata dagli scarichi industriali sversati direttamente in mare. L’insediamento industriale di Porto Marghera, comprendente il Petrolchimico, da tempo costituisce uno dei maggiori contribuenti a questo fenomeno. In aggiunta agli scarichi industriali, anche gli scarichi di tipo domestico dei centri abitati lagunari (quando privi di adeguati sistemi di depurazione) contribuiscono all’inquinamento delle acque, così come il riversamento di acqua di origine agricola, contenente sostanze inquinanti come concimi e pesticidi. Non solo l’inquinamento delle acque, ma anche quello dell’aria interessa la città di Venezia. L’ingente traffico di barche, assieme alla presenza in laguna di grandi imbarcazioni come le navi da Crociera, portano ad alti livelli di polveri sottili e biossido di azoto (NO2), rendendo l’aria inquinata e potenzialmente tossica per gli abitanti.
La fragile bellezza di Venezia rischia di scomparire sotto il livello del mare, che, irriducibile, aumenta di pari passo con l’accelerazione del cambiamento climatico innegabilmente in atto. L’avviamento di questo ambizioso proggetto cercherà di ergere Venezia a simbolo delle tante città costiere che ad oggi sono minacciate dal mare. Città che oggi possono scegliere di non affondare sotto il peso di un destino inesorabile, ma che sapranno servirsi dell’elemento che oggi più le minaccia per risorgere come attori di un cambiamento globale.
Uno tra gli effetti globali più preoccupanti del cambiamento climatico coinvolge l’eustatismo (ossia il cambiamento del livello globale dei mari). Infatti, l’aumento delle temperature terrestri sta causando l’espansione volumetrica delle acque e lo scioglimento dei ghiacci sulla terraferma, ad esempio in territori come l’Antartide e la Groenlandia. L’innalzamento dei mari appresenta un grave pericolo anche per le coste del Mar Mediterraneo e le sue città. Negli ultimi 150 anni, le acque della laguna di Venezia sono cresciute di circa 2,5 mm all’anno, risultato combinato del movimento verticale del suolo e dell’innalzamento del livello del mare.
La subsidenza di Venezia (cioè il naturale sprofondamento degli strati geologici del pavimento lagunare) è stata identificata come un serio problema già decenni fa, quando l’emungimento dalle falde sotterranee, combinato con la compattazione del terreno causato dal peso degli edifici, stava esacerbando il già lento ed inesorabile sprofondamento dell’interland lagunare. Dopo aver vietato l’estrazione delle acque sotterranee, il fenomeno è fortemente rallentato, ma non si è fermato. Tra le attuali cause, si annoverano anche il movimento tettonico delle placche e l’aumento dei livelli del mare causato dal innalzamento delle temperature globali.
L’equilibrio dell’ecosistema lagunare è legato a stretto filo con lo stato delle tre bocche di porto di Venezia: Lido, Malamocco e Chioggia. La loro evoluzione e i risultanti flussi delle acque fuori e dentro la laguna sono il risultato di processi naturali ma anche di attività antropiche, a partire dagli interventi ingegneristici avvenuti per la deviazione dei principali immissari nel XV secolo. La recente costruzione del MOSE, per la protezione della città dalle maree straordinarie, ha portato a ingenti modifiche alle bocche di porto. Gli effetti di questi interventi sono molto difficili da predire, ma avranno un impatto sui movimenti delle masse d’acqua e dei sedimenti. Ad esempio, la presenza delle barriere del MOSE va ad ostacolare l’ingresso di sedimenti in laguna, vitali per la stabilizzazione del suolo di Venezia limitandone la subsidenza, e per la vita marina fornendo nutrimento e ancoraggio alla vegetazione lagunare. Dopo la messa in funzione del MOSE, il tasso annuo di sedimentazione nelle tre bocche di porto è diminuito in media del 25%.
Tra i problemi della laguna di Venezia si annovera quello dell’inquinamento. Una delle maggiori fonti di inquinamento delle acque lagunari è rappresentata dagli scarichi industriali sversati direttamente in mare. L’insediamento industriale di Porto Marghera, comprendente il Petrolchimico, da tempo costituisce uno dei maggiori contribuenti a questo fenomeno. In aggiunta agli scarichi industriali, anche gli scarichi di tipo domestico dei centri abitati lagunari (quando privi di adeguati sistemi di depurazione) contribuiscono all’inquinamento delle acque, così come il riversamento di acqua di origine agricola, contenente sostanze inquinanti come concimi e pesticidi. Non solo l’inquinamento delle acque, ma anche quello dell’aria interessa la città di Venezia. L’ingente traffico di barche, assieme alla presenza in laguna di grandi imbarcazioni come le navi da Crociera, portano ad alti livelli di polveri sottili e biossido di azoto (NO2), rendendo l’aria inquinata e potenzialmente tossica per gli abitanti.
L’importanza di un profondo multilateralismo nella ricerca scientifica è stata più volte sottolineata da diversi organismi internazionali in questo periodo di pandemia, la cooperazione risulta la via necessaria da percorrere per riuscire a rispondere alle sfide globali di questo tempo; come sottolineato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite:
“Viviamo in un mondo in cui le sfide globali sono sempre più integrate e le risposte sempre più frammentate: se tutto questo non viene invertito, avremo una ricetta per il disastro"
Per questa ragione risulta fondamentale scegliere di strutturarsi fin dall’origine come un ambiente prettamente multidisciplinare.
La stretta convivenza all’interno della nave (o dell’Headquarters a terra) da parte dei team di ricerca eterogenei, permetterà di creare un ambiente dinamico e inclusivo stimolando l’interazione, la contaminazione di idee e l’emersione di nuove possibilità, elementi essenziali nel processo di innovazione.
La visione sottesa a questa scelta è quella di portare il progetto MRUV ad essere terreno fertile per il comportamento emergente.
L’ emergenza (o comportamento emergente) è proprio di sistemi complessi, come quello che si intende sviluppare in questo ambiente, dove l’insieme dei membri di un gruppo genera proprietà diverse dalla semplice somma di quelle dei suoi componenti.
La presenza di questa componente all’interno di un gruppo di individui è spesso responsabile del successo di alcune organizzazioni visionarie nell’affrontare tematiche di grande rilevanza e complessità umana e tecnologica.
L’importanza di un profondo multilateralismo nella ricerca scientifica è stata più volte sottolineata da diversi organismi internazionali in questo periodo di pandemia, la cooperazione risulta la via necessaria da percorrere per riuscire a rispondere alle sfide globali di questo tempo; come sottolineato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite:
“Viviamo in un mondo in cui le sfide globali sono sempre più integrate e le risposte sempre più frammentate: se tutto questo non viene invertito, avremo una ricetta per il disastro"
Per questa ragione risulta fondamentale scegliere di strutturarsi fin dall’origine come un ambiente prettamente multidisciplinare.
La stretta convivenza all’interno della nave (o dell’Headquarters a terra) da parte dei team di ricerca eterogenei, permetterà di creare un ambiente dinamico e inclusivo stimolando l’interazione, la contaminazione di idee e l’emersione di nuove possibilità, elementi essenziali nel processo di innovazione.
La visione sottesa a questa scelta è quella di portare il progetto MRUV ad essere terreno fertile per il comportamento emergente.
L’ emergenza (o comportamento emergente) è proprio di sistemi complessi, come quello che si intende sviluppare in questo ambiente, dove l’insieme dei membri di un gruppo genera proprietà diverse dalla semplice somma di quelle dei suoi componenti.
La presenza di questa componente all’interno di un gruppo di individui è spesso responsabile del successo di alcune organizzazioni visionarie nell’affrontare tematiche di grande rilevanza e complessità umana e tecnologica.
Uno dei fenomeni più complessi ad oggi studiato è il cambiamento climatico. La sua complessità dipende, in maggior misura, dalla numerosità delle variabili che ne sottendono le dinamiche e dalle loro complicate interdipendenze, essa inoltre aumenta qualora si voglia studiare gli impatti che il cambiamento climatico ha sugli ecosistemi, i quali sono ambienti complessi a loro volta.
Le difficoltà derivanti dalla complessità del fenomeno studiato si sommano alla limitatezza dei metodi di ricerca ad oggi impiegati che, come dimostrano alcune ricerche, spesso è imputabile al basso grado di multidisciplinarietà del team di lavoro, fattore che spesso conduce ad errori nei risultati di ricerca.
Le innovazioni, nel complicato mondo della scienza, possono scaturire solo dalla collaborazione
Di conseguenza, riteniamo che la nave possa essere uno spazio adatto a stimolare la cooperazione e ad incentivare il trasferimento di conoscenze e competenze, oltre che creare le condizioni per il manifestarsi dell’emergenza, tutti elementi fondamentali per affrontare scenari complessi, volatili e imprevedibili, e conferire al team la flessibilità necessaria ad individuare soluzioni efficaci.
Se lavorando separatamente siamo stati abbastanza forti da destabilizzare il nostro pianeta, sicuramente lavorando insieme saremo abbastanza potenti da salvarlo.
L’eterogeneità dei membri del team, dal punto di vista professionale, si dimostra indispensabile al fine di poter godere di una conoscenza integrata attraverso cui cogliere la complessità del fenomeno studiato e analizzarne gli effetti, che interessano non solo il mondo biologico ma la società nel suo complesso.
Uno dei fenomeni più complessi ad oggi studiato è il cambiamento climatico. La sua complessità dipende, in maggior misura, dalla numerosità delle variabili che ne sottendono le dinamiche e dalle loro complicate interdipendenze, essa inoltre aumenta qualora si voglia studiare gli impatti che il cambiamento climatico ha sugli ecosistemi, i quali sono ambienti complessi a loro volta.
Le difficoltà derivanti dalla complessità del fenomeno studiato si sommano alla limitatezza dei metodi di ricerca ad oggi impiegati che, come dimostrano alcune ricerche, spesso è imputabile al basso grado di multidisciplinarietà del team di lavoro, fattore che spesso conduce ad errori nei risultati di ricerca.
Le innovazioni, nel complicato mondo della scienza, possono scaturire solo dalla collaborazione
Di conseguenza, riteniamo che la nave possa essere uno spazio adatto a stimolare la cooperazione e ad incentivare il trasferimento di conoscenze e competenze, oltre che creare le condizioni per il manifestarsi dell’emergenza, tutti elementi fondamentali per affrontare scenari complessi, volatili e imprevedibili, e conferire al team la flessibilità necessaria ad individuare soluzioni efficaci.
Se lavorando separatamente siamo stati abbastanza forti da destabilizzare il nostro pianeta, sicuramente lavorando insieme saremo abbastanza potenti da salvarlo.
L’eterogeneità dei membri del team, dal punto di vista professionale, si dimostra indispensabile al fine di poter godere di una conoscenza integrata attraverso cui cogliere la complessità del fenomeno studiato e analizzarne gli effetti, che interessano non solo il mondo biologico ma la società nel suo complesso.
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33085, Maniago, PN
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